Una spiegazione al fenomeno del restyling del logo potrebbe essere l’aspetto visivo sugli schermi digitali che prediligono l’aspetto minimal: parliamo di rebranding.
Lo stile minimal ormai sembra regnare in tutti gli ambiti.
La tenedenza al minimalismo stilistico, negli ultimi mesi, è sempre più diffusa: nel design di interni, gli arredamenti si prediligono sempre più semplici, il design degli smartphone sono sempre più essenziali. Il perché è strettamente legato alle più mutevoli esigenze di mercato e a questioni strategiche.
Ma per il restyling di un logo, verso un design minimal, il discorso è molto più ampio.
Come direbbe Ludwig Mies van der Rohe, architetto razionalista e padre del modernismo, “less is more”, senza sottovalutare che rendere minimal il logo dei brand richiede spesso un minuzioso lavoro di ricerca, sviluppo e indagini di mercato per evitare di snaturarlo e intaccare la sua riconoscibilità.
A questo punto, se semplificare la brand identity non è economicamente vantaggioso, perchè sempre più brand scelgono lo stile minimal?
La risposta è molto semplice: in un era in cui è sempre più arduo ottenere l’attenzione del consumatore, i brand preferiscono optare per questa strategia.
Questo perchè, se fino a qualche anno fa era molto più facile per un consumatore interagire con un brand, toccandolo con mano per scrutare ogni minimo dettaglio, ad esempio come succede con i prodotti che troviamo sullo scaffale di un supermercato, o notare un brand o un prodotto sfogliando una rivista, oggi non è più così.
I cosiddetti “touchpoint” sono estremamente cambiati: i contatti con un brand sono molto più brevi, spesso contenuti in qualche frazione di secondo e in condivisione con decine di migliaia di altre informazioni che interferiscono sull’attenzione del consumatore portandolo a distrazioni e nel peggiore dei casi al disinteresse.
Gli utenti, ormai, amano spendere il proprio tempo sui social, scrollando velocemente il feed e questo per i brand non è sempre una nota positiva perchè diventa difficile trasmettere i propri valori all’interno dei pochi pixel di un post Instagram o in un’immagine del profilo.
È proprio da qui che nasce l’esigenza di optare per un rebranding pensato per migliorare l’esperienza dell’utente e per mirare alla memorabilità.
Rebranding o Debranding?
Parliamoci chiaro!
Loghi troppo abbelliti stilisticamente, pieni di ornamenti, sugli schermi dei nostri smartphone non rendono. L’unica via verso un rebranding di successo è quindi quella di eliminare dalla composizione dell’immagine del nostro brand ogni elemento che non serve a metterlo in risalto esplicitamente.
Un esempio interessante è quello di Visa, che ha deciso di eliminare dal proprio logo il nome della compagnia, comunicando un netto cambio di strategia. In futuro prevedono di offrire molti più servizi che andranno ben oltre le semplici carte di credito e questo lo ha comunicato utilizzando solo i colori della compagnia ritenuti sufficienti per collegare la mente del consumatore al brand.
È un chiaro esempio di rebranding che assomiglia molto al sempre più diffuso debranding: colori e forme ridotti all’essenziale per una comunicazione e ricezione da parte degli utenti più semplice.
Cosa significa fare Debranding e perchè è cosi diffuso tra i grandi brand
Fare debranding significa promuovere un prodotto senza il logo del brand, nel materiale marketing. Utilizzare solo il pittogramma rinunciando al “logotipo”, significa fare Debranding.
Non solo. Si parla di Debranding quando un brand opta per una strategia di branding che prevede la riprogettazione del marchio con l’obiettivo di ridurlo all’essenziale.
Uno degli esempi più eclatanti che esplicita perfettamente questo fenomeno è Nike.
È stato uno dei primi a compiere questa operazione nel 1995, rinnovando la propria immagine e lasciando semplicemente l’iconico “swoosh”, ottenendo un grande feedback positivo da parte dei consumatori.
Il primo ma non l’unico
È un’ovvietà che non tutti i brand possono permettersi di fare debranding ottenendo gli stessi risultati perchè è necessario raggiungere una certa maturità prima di compiere un’azione cosi estrema.
I fattori determinanti, per considerare un brand maturo, sono un’alta riconoscibilità del brand nella mente dei consumatori ma soprattutto la percezione che hanno dei valori di quel brand aldilà dei prodotti.
È il caso di Starbucks, che ha eliminato il proprio nome dai bicchieri di cartone, lasciando spazio per il nome dei clienti. Strategia che ha reso confidenziale il rapporto con il cliente e che ha aiutato il brand a farsi percepire più come un coffee shop di quartiere che come corporate.
Un altro esempio, che non si può evitare di menzionare, è Yves Saint Laurent.
Il Debranding nei marchi di lusso è cominciato proprio con lui, nel 2012, quando ha sostituito lo storico logotipo e monogramma, con un semplice sans serif tutto maiuscolo.
Il Debranding e il logo dei brand più minimal per il “mobile first”
Il debranding, inteso come semplificazione grafica del logo, è preferito sempre di più dai brand per la necessità di ottenere più visibilità e riconoscibilità anche in dimensioni ridotte.
Le icone delle app sui cellulari, le favicon del browser, la logica del “mobile first” , ha indotto i creativi a trovare linee e forme semplici e riconoscibili per i loghi dei propri clienti.
L’estetica sans serif è più chiara e leggibile su diversi formati, soprattutto nel mondo digitale. Infatti, l’errore più comune è quello di non prendere in considerazione l’aspetto responsive del logo, motivo per il quale manca spesso una progettazione che definisca come si comporta il logo in base alle dimensioni dei dispositivi. Essendo il logo la parte più visibile del marchio di un brand, questo aspetto non è opinabile.
Un altro aspetto interessante del debranding è quello di rendere più professionale un logo evitando di progettarlo con stile dilettantistico, infantile o troppo stravagante.
Ecco alcuni esempi dei più grandi brand che hanno adottato questa strategia.
E voi cosa ne pensate di questo nuovo trend strategico?